L’innovazione sostenibile

Idee ed esempi da industrie e consumatori

Il sistema economico offre opportunità di sviluppo grazie all’innovazione sostenibile o eco-compatibile, ovvero il tipo di innovazione più radicale, ma anche competitiva e vincente. L’innovazione diventa sostenibile se vi sono: criteri di misurazione delle performance ambientali dei produttori, che sollecitano a considerare l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei servizi offerti; una comunicazione più trasparente e una domanda più evoluta dei consumatori. Ulteriore impulso all’innovazione sostenibile verrà dalla domanda di beni e servizi delle Smart Cities, dalle nuove applicazioni Machine to Machine e da tecnologie come l’industrial internet

Nuove metodologie ed approcci per l’innovazione sostenibile

Le misurazioni delle performance ambientali
Come noto, solo misurando un fenomeno si riesce a intervenire per migliorarlo. La metodologia di gran lunga più conosciuta ed affermata per quantificare l’impatto ambientale di un prodotto, processo o modello di business è, come detto in apertura, il Life Cycle Assessment, che permette di misurare gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto. Un altro approccio alla quantificazione è rappresentato dal TruCost, la cui metodologia e la base di dati accumulata permettono di esprimere gli impatti ambientali in valori monetari. Le economie e le diseconomie ambientali riescono quindi a entrare nei bilanci e nella pianificazione aziendali.

Sia il Life Cycle Assessment con la sua applicazione operativa, la Dichiarazione Ambientale di Prodotto, sia i costi ambientali di TruCost, permettono di comparare alternative appartenenti allo stesso settore o anche a settori diversi che soddisfano le medesime esigenze.

LCA e Costi ambientali indirizzano in prevalenza le scelte delle imprese, mentre quelle dei consumatori possono essere favorite da una maggiore e più corretta applicazione delle Ecolabel.

Un recente studio della società di consulenza De Loitte [3] fa il punto sulle strategie aziendali e le prospettive che riguardano le certificazioni ambientali e le Ecolabel. Il report cerca di spiegare perché crescono gli investimenti ed i piani operativi aziendali relativi a questi strumenti di comunicazione, nonostante la loro proliferazione (esistono 426 Ecolabels in 246 paesi e 25 settori industriali) determini confusione nella mente dei consumatori e quindi una minore efficacia.

La ricerca è stata compiuta intervistando un campione ristretto ma fortemente qualitativo di manager di grandi aziende internazionali responsabili dei programmi di sostenibilità. Ne deriva un quadro complessivo dove la scelta delle aziende di dotarsi di Certificazioni ed Ecolabel è determinata da motivazioni che riguardano la commercializzazione verso altre imprese (business to business), dalla necessità di adeguarsi a normative pubbliche più restrittive, dalla volontà di accreditare maggiormente campagne di comunicazione concernenti vantaggi ambientali del prodotto e infine dalla ricerca di un nuovo posizionamento dello stesso brand.

In prospettiva comunque le aziende concordano che la crescente consapevolezza dei consumatori determinerà la prevalenza di motivazioni B2C (Business to Consumer). Rilevatrice una recente casa historyin cui si è trovata impigliata la Apple. L’azienda californiana aveva deciso di rinunciare alla certificazione EPEAT (Ecolabel per il settore dell’informatica, diffusa soprattutto negli Stati Uniti) che generava costi crescenti e non era estendibile ad alcuni nuovi prodotti, ma ha dovuto poi ritornare rapidamente e precipitosamente sui suoi passi dopo le contestazioni arrivate con forza dal mercato nordamericano.

L’integrazione della filiera e la collaborazione fra gli stakeholder
Poiché il massimo delle opportunità vengono colte ragionando in termini di ciclo di vita di prodotto, diventa essenziale favorire le collaborazioni all’interno delle filiere di fornitura, produzione e commercializzazione. Stanno quindi nascendo consorzi e forme di cooperazione con fornitori e magari concorrenti, aiutati dalle piattaforme digitali per la cooperazione e la condivisione di contenuti. In questi contesti la collaborazione diventa un valore superiore alla stessa tradizionale riservatezza dei vantaggi industriali. Gli esempi sono molti; uno ci arriva dalla filiera automobilistica.

Honda, Nissan, Hyundai e Subaru sono gli ultimi produttori di automobili, in ordine di tempo, aggiuntisi al gruppo Suppliers Partnership for the Environment, un’organizzazione nata dalla collaborazione di General Motors, Ford e Chrysler con EPA (l’agenzia USA per la protezione ambientale) ed i loro fornitori per introdurre innovazioni in grado di ridurre l’impatto ambientale della filiera automobilistica senza rinunciare alla creazione di valore. In questo momento della partnership fanno parte oltre 40 aziende che operano insieme alle aziende automobilistiche nei settori della chimica, della tecnologia, della componentistica e del riciclaggio. Sono stati costituiti quattro gruppi di lavoro che si occupano di settori ed ambiti specifici con la partecipazione di tutte le aziende della filiera ed il sostegno di EPA che propone le linee guida. Il primo gruppo riguarda l’energia e l’acqua e si prefigge di introdurre processi e tecnologie più efficienti. Il secondo gruppo riguarda l’efficienza nell’uso dei materiali e si propone di ridurre gli sprechi ed i rifiuti, facilitare il riciclaggio ed il riuso, ottimizzare il packaging. Altri due gruppi si occupano dei temi riguardanti la chimica e la tecnologia e del networking.

Un altro esempio ci viene da Nike. Il famoso brand dell’abbigliamento sportivo ha deciso di costituire una società di venture capital il cui nome rimanda all’obiettivo perseguito dal “Sustainable Business & Innovation Lab”. Si tratta quindi di aiutare le startup che intendono operare nel campo dell’innovazione tecnologica applicata alla sostenibilità. Da tempo Nike ha imboccato la strada della green innovation per accrescere la sua competitività, con risultati incoraggianti. Ad esempio, Nike Free, una scarpa da corsa superleggera, ha contribuito in maniera significativa ai positivi risultati di vendita. Ciononostante la crisi economica si fa sentire anche per la multinazionale americana, riducendo le sue capacità di investimento sulle nuove tecnologie. Per questo Nike ricorre al mercato dell’innovazione cercando di favorire la nascita e la successiva collaborazione con startup più agili in grado di sviluppare innovazione con investimenti inferiori.

Infine Unilever che ha recentemente annunciato l’apertura di una piattaforma on-line destinata a tutti coloro che sono disponibili ad aiutare l’azienda per trovare le soluzioni tecnologiche necessarie a raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi. Primo fra tutti quello di ridurre il suo impatto ambientale pur in presenza di una dimensione raddoppiata dei volumi di vendita. Processo di innovazione aperto all’esterno e attenzione alla sostenibilità fanno ormai parte integrante dei valori strategici di Unilever, che è stabilmente presente ai primi posti di tutte le graduatorie globali riguardanti le green company.
Quello che ha particolarmente colpito però l’attenzione del mercato è la scelta di declinare in maniera trasparente quali sono le sue necessità, quali sono cioè le dodici aree tecnologiche in cui ha bisogno di collaborazione per raggiungere i suoi futuri obiettivi. Per i manager della Unilever i vantaggi della collaborazione aperta sono evidentemente maggiori dei rischi di svelare le carte ai concorrenti.
Nelle dodici aree troviamo ad esempio temi come il miglioramento del packaging, sistemi per la sanitizzazione dell’acqua, la conservazione dei cibi e cosi via.

L’approccio di lungo periodo
Come abbiamo detto, l’innovazione sostenibile richiede la capacità di guardare non solo alla vendita di un prodotto o di un servizio ma anche al suo impiego, alle funzioni e ai costi monetari e ambientali generati lungo il suo intero ciclo di vita. In alcuni casi, come nell’edilizia, si parla di decenni, in altri comunque di anni.

Questo approccio porta frequentemente nei processi di innovazione sostenibile a passare dalla progettazione di un prodotto a quella di un prodotto/servizio, e/o a privilegiare l’idea dell’accesso a quella del possesso. Nel primo caso esempi già concretamente attuati sono ad esempio quelli in cui il produttore anche di un bene banale come i rivestimenti per superfici (le moquette) non vende più il solo prodotto ma fornisce la gestione del rivestimento in un contratto pluriennale che prevede attività di manutenzione e anche di sostituzione. In questo modo il fornitore è motivato a contenere al minimo tutti i costi del processo e quindi anche lo stesso consumo di materiale e quindi di materie prime. Altri esempi sono quelli che riguardano beni come i sistemi di riscaldamento oppure i consumabili delle stampanti. Stessa valutazione, quella dei costi complessivi valutati nel lungo periodo, può motivare la scelta e la relativa offerta dell’accesso ai servizi erogati ad un bene di consumo durevole piuttosto che al suo possesso. Si va dall’automobile alle attrezzature per il giardinaggio o, come abbiamo già visto, per la stampa.


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